L’Africa di Dante Frontero

La strada che attraversa il villaggio di Usolanga si snoda tra ampie curve e sali-scendi che sprofondano nel greto dei torrenti che solcano l’altipiano. Il suo fondo è costituito da una terra rossa, leggera e fine come la cipria. Se c’è un po’ di vento o la si percorre in macchina, si infila dappertutto, in gola, in mezzo ai capelli, sotto i vestiti, dentro gli obiettivi delle nostre macchine fotografiche. La campagna, arida e vasta, è costellata di acacie ombrellifere e di poderosi baobab, con i rami spogli come radici aggrappate al cielo. “Non sono morti” ci spiega Patrizia, “la mancanza di foglie è una loro strategia per non disperdere la poca umidità ancora presente al loro interno. Quando piove rivivono bellissimi e lo spettacolo è grande.” Patrizia guida i tre nuovi venuti, Valentina, Daniela e il sottoscritto, in una passeggiata alla scoperta dei dintorni della Missione di Usolanga.. La Missione è la nostra casa. E’ costituita da un’infermeria, che funge anche da piccolo ospedale, da una chiesa e dalla casa delle suore. Mintonia e Maria Ausilia, le due “sorelle” della A.L.M. (Associazione Laicale Missionaria), sono le nostre combattive ed efficienti ospiti.. Maria Ausilia, di anni ottanta, il cui motto fondamentale è :“La Provvidenza nasce sempre prima del sorgere del sole”, conduce la scuola di cucito e gestisce il piccolo emporio. Mintonia, infermiera, da più di trent’anni in Africa, è la factotum del piccolo ospedale, costantemente alle prese con problemi come l’A.I.D.S., la malaria, le partorienti in difficoltà che si presentano all’ultimo momento e che spesso devono essere trasportate ad Iringa, la città più vicina. Dista un’ottantina di chilometri da percorrere con faticose gimcane in fuoristrada. La nostra è una passeggiata tranquilla, un primo contatto con il territorio. Capanne di fango con il tetto di paglia si affiancano a piccolissime casette di ruvidi mattoni con tetti di lamiera (il progresso arriva anche qui). Qui e là greggi di capre, di mucche con gobbe di grasso all’attaccatura del collo, galline che fanno gruppo attorno alle casette e qualche maiale errante. La magrezza è il comune denominatore di tutti questi animali. Per colpa della siccità il raccolto è stato scarso e anche loro ne pagano lo scotto. La poca acqua, salmastra, deve essere succhiata dalle viscere della terra. Profonde buche sono scavate nell’arido greto di un fiume assetato. In fondo alle buche, a due o tre metri di profondità, una mano veloce agita una scodella di legno che raccoglie l’acqua e la versa in un secchio di plastica. La fila è lunga. Si aspetta il proprio turno, senza fretta. I secchi, verdi, rossi, blu, una volta riempiti, viaggiano sulle teste di donne e bambini alla volta delle rispettive case. E’ la scorta quotidiana: domani sarà lo stesso andirivieni, fino all’esaurimento di una buca e allo scavo di un’altra. I bambini? Sono tanti! Corrono incontro sorridenti e festosi. Non sembrano denutriti, anzi, quasi in buona salute. “Non v’illudete”, ci dice Patrizia, “tanti di loro sono malati.” “Di cosa?” “Di A.I.D.S. E’ dappertutto. Un flagello! E poi di malaria e, a dispetto di quel che appare, di malnutrizione e di tutto quel che ne consegue. E’ vero, sono proprio belli! Nei prossimi giorni aiutatemi a cercare quelli della lista che ho portato da Roma. Almeno una foto vorrei portarla ai genitori adottivi.” Si occupa delle adozioni a distanza, Patrizia. E si da un gran da fare. E’ la “mamma” di “Sorrisi nel Mondo”. Il nome dell’Associazione è proprio azzeccato e lei, la “mamma” è sempre sorridente quando distribuisce quello che può ai ragazzini che la circondano. E’ un po’ meno sorridente quando rimbrotta Gianni, il marito. “Non devi regalare i soldi ai muratori. Sono pagati bene. Prendono il doppio di quanto guadagnano normalmente! L’obiettivo è costruire gli ostelli. Ci sono un sacco di spese!” “Sì, ho capito! Ma poveracci! Prendono cinquemila scellini al giorno che sono meno di tre euro, non si può essere troppo rigidi.” so_Gianni_MiglioratiGianni è il “motore” dell’Associazione. Gestisce i soldi raccolti attraverso le manifestazioni organizzate in Italia, d’inverno e, in estate, li trasforma in edifici scolastici in Africa. Assume e coordina gli operai (ci vorrebbe una laurea in psicologia per interpretare il loro mutevole pensiero), acquista i materiali (trattative estenuanti con i commercianti di Iringa, furbi e diffidenti), ne organizza il trasporto (deve convincere i trasportatori a non chiedere troppo e a non sparire dopo aver assunto l’impegno), si preoccupa dell’approvvigionamento dell’acqua necessaria al cantiere (le promesse di funzionari e tecnici si sprecano, ma l’acqua scarseggia sempre più). E’ un mestieraccio pesante e stressante, il suo. Ma quando i primi mattoni vanno a dar forma alla base dei muri e le pietre del fiume si trasformano nel vespaio del pavimento, fatiche e contrarietà si dissolvono come la nebbia mattutina nel calore del vasto altopiano che ci circonda. Il volto del Preside s’illumina nel vedere gli ostelli che prendono corpo. Per quest’anno si costruiscono sei stanze per i maschi e sei per le femmine, per un totale di 144 posti letto. “Sorrisi nel Mondo” ha acquisito una solida reputazione da queste parti: ha costruito, negli anni passati, le aule e la direzione della scuola secondaria; ed eccola impegnata ad intraprendere nuovi lavori. Viene convocata un’assemblea per spiegare ai ragazzi il progetto degli ostelli. Il tetto dell’aula magna è costituito dalle fronde di una grande acacia ombrellifera, il pavimento è uno spiazzo di terra battuta e le sedie delle aule sono diligentemente disposte in semicerchi concentrici. Tutti i 540 alunni stanno attenti, ascoltano il loro Preside, poi la responsabile dei villaggi vicini, quindi Patrizia che spiega loro come vengono raccolti i fondi per le opere ed infine noi tutti, tra applausi e risate d’allegria. Fanno domande, ringraziano e chiedono se non sia possibile portare loro qualche computer. Chissà! Forse, un giorno. Quaggiù manca l’energia elettrica, il telefonino non prende, la poca acqua è quella delle buche nel greto del fiume e ci sarebbe bisogno di un programma socio-sanitario da mettere in piedi. Ma i ragazzi sognano il computer, e fanno bene. Che ragazzi sarebbero, senza il coraggio di sognare? E noi, i nuovi venuti, Valentina, Daniela e il sottoscritto? Ci ha condotti qui Mascia Migliorati, figlia di Patrizia e Gianni, e vera anima di “Sorrisi nel Mondo”. Ha girato mezzo mondo e ha “cresciuto” l’Associazione. Non è venuta in Africa quest’anno ma la sua assenza è giustificata: lei e Ruggero sono a casa, a Roma, aspettano la nascita della prima figlia. Mascia è professoressa: Daniela ed io, suoi colleghi, l’abbiamo conosciuta al Pascal, l’Istituto Tecnico di via delle Galline Bianche, dove lavoravamo tutti e tre. Diceva spesso: “L’Africa! Chi non c’è stato dovrebbe andarci almeno una volta! Con poco si fa tanto e lì quasi tutti hanno bisogno d’aiuto. E i paesaggi …. i parchi … Se si può, perché non fare un viaggio, un viaggio che potremmo chiamare “viaggio della conoscenza”, con noi, con l’Associazione, e poi vedere cosa succede?” La tentazione era forte ma le perplessità non mancavano. La famiglia, i vaccini, i problemi di salute in un ambiente presumibilmente difficile ma, soprattutto, gli impegni scolastici. Quest’ultimo, che era il punto al quale, almeno io, pensavo d’aggrapparmi per giustificare un eventuale diniego, è stato subito dissolto da Preside e Vicepreside che ci hanno facilitato nel sistemare gli adempimenti burocratici. Ancora non abbiamo capito se tanta disponibilità sia stata il frutto di un senso di solidarietà verso gli Africani o della speranza di liberarsi di noi. Valentina, ventuno anni. E’ stata alunna di Mascia e ne ha assimilato lo spirito avventuroso e umanitario. E’ stata accolta con vivo entusiasmo dagli studenti e, forse ancor più, dai giovani professori della scuola di Usolanga. “Isn’t she a beatiful girl?” avevo provocatoriamente accennato al prof. d’inglese che passava per uno “sciupafemmine” del luogo, ricevendone in cambio una risposta entusiasticamente affermativa. “Dante, ti prego! Che cavolo di figure mi fai fare! Daniela, aiutami, fallo smettere!” Mi volevo anche dar da fare con un bellissimo Masai che, con il suo andamento atletico ed elegante, aveva conquistato l’interesse della nostra giovane compagna. “Ora lo chiamo e te lo presento. E’ giovane, avrà sì e no otto mogli, ci sarà posto anche per te in una delle tante capanne del suo villaggio.” “Mannaggia, non si può mai star tranquilli, vuoi proprio farmi sprofondare sotto terra!” Ma con i bambini dell’asilo Valentina era davvero a proprio agio. Lei e Daniela, nel distribuire fogli e matite, passavano tra quei minuscoli e ruvidi banchi come due fate che i piccoli scrutavano attenti e seguivano con occhi più grandi di loro. Quanta meraviglia in quegli sguardi, quanto stupore e quanto impegno nel cercar di eseguire gli esercizi proposti! La scuola, da queste parti, a partire dall’asilo, è una cosa seria e ci si comporta bene, fin da piccoli. “Cosa farai da grande?” chiede Daniela ad uno di loro. “Se sarò vivo …. “ così comincia la risposta. E’ presente fin dall’infanzia la consapevolezza dei rischi legati alle dure condizioni di vita, per vecchi e bambini in particolare. E’ una consapevolezza che non si trasforma mai in paura e l’accettazione della morte fa parte del vivere quotidiano; anche da questo, forse, derivano comportamenti spesso incuranti di pericoli e malattie. Il nostro soggiorno ad Usolanga sta per concludersi, tra poco saremo di nuovo a casa. Il “viaggio della conoscenza”, quello di cui parlava Mascia, è però appena agli inizi. Dopo un’esperienza così viva difficile dimenticare l’Africa, difficile non voler approfondire la conoscenza di mondi che, a dispetto delle distanze geografiche, questo viaggio ci ha svelato essere dietro l’angolo di casa di ognuno di noi.”

Dante Frontero

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